SCOPERTE LE NANE Y: SONO CALDE COME NOI!!
E' stata finalmente ufficializzata con due articoli su The Astrophysical Journal e The Astrophysical Journal Supplement Series la scoperta delle nane brune di tipo Y, le più fredde fra tutte le categorie di stelle mancate, globi di taglia intermedia fra pianeti e stelle, che per la loro massa insufficiente non riescono a innescare nel nucleo la fusione termonucleare, e sono quindi destinate a raffreddarsi fino a divenire corpi freddi.
La scoperta è stata possibile grazie all'eccezionale capacità del telescopio orbitale WISE di rilevare sorgenti infrarosse estremamente deboli. Erano un centinaio le candidate nane Y scoperte da WISE e di queste 6 sono state confermate grazie ad analisi spettroscopiche eseguite con i più potenti telescopi al suolo e con il telescopio spaziale Hubble.
Il record di stelle più fredde era finora appartenuto alle nane T, aventi temperature "superficiali" di alcune centinaia di gradi Celsius, limite che con le nane Y si sposta a poche decine di gradi, con l'attuale record detenuto da WISE 1828+2650 con appena 25°C, ben più fredda di un corpo umano! (l'oggetto è quello verde indicato dalla freccia nell'immagine di destra, mentre a sinistra c'è una sua rappresentazione artistica).
Evidentemente siamo di fronte a oggetti celesti che si distinguono dai pianeti giganti gassosi per il solo fatto di essere isolati nello spazio, non in orbita attorno ad altre stelle e quasi certamente nati come le stelle per accrescimento da una nube protostellare. Per il resto possono essere assimilati ai pianeti giganti e anche l'aspetto delle loro atmosfere non dovrebbe essere molto dissimile da quello di Giove. Nell'infrarosso appaiono circa 5000 volte più brillanti che non nella luce visibile ai nostri occhi, di qui l'enorme difficoltà di scoprirli direttamente dalla superficie terrestre.
Le prime 6 nane Y riconosciute (sicuramente l'elenco si allungherà notevolmente) sono poste a distanze comprese fra 9 e 40 anni luce, con la più vicina, WISE 1541-2250, che diventa il settimo sistema stellare a noi più vicino, anche se su questa definizione non tutti saranno d'accordo...
La scoperta è stata possibile grazie all'eccezionale capacità del telescopio orbitale WISE di rilevare sorgenti infrarosse estremamente deboli. Erano un centinaio le candidate nane Y scoperte da WISE e di queste 6 sono state confermate grazie ad analisi spettroscopiche eseguite con i più potenti telescopi al suolo e con il telescopio spaziale Hubble.
Il record di stelle più fredde era finora appartenuto alle nane T, aventi temperature "superficiali" di alcune centinaia di gradi Celsius, limite che con le nane Y si sposta a poche decine di gradi, con l'attuale record detenuto da WISE 1828+2650 con appena 25°C, ben più fredda di un corpo umano! (l'oggetto è quello verde indicato dalla freccia nell'immagine di destra, mentre a sinistra c'è una sua rappresentazione artistica).
Evidentemente siamo di fronte a oggetti celesti che si distinguono dai pianeti giganti gassosi per il solo fatto di essere isolati nello spazio, non in orbita attorno ad altre stelle e quasi certamente nati come le stelle per accrescimento da una nube protostellare. Per il resto possono essere assimilati ai pianeti giganti e anche l'aspetto delle loro atmosfere non dovrebbe essere molto dissimile da quello di Giove. Nell'infrarosso appaiono circa 5000 volte più brillanti che non nella luce visibile ai nostri occhi, di qui l'enorme difficoltà di scoprirli direttamente dalla superficie terrestre.
Le prime 6 nane Y riconosciute (sicuramente l'elenco si allungherà notevolmente) sono poste a distanze comprese fra 9 e 40 anni luce, con la più vicina, WISE 1541-2250, che diventa il settimo sistema stellare a noi più vicino, anche se su questa definizione non tutti saranno d'accordo...
tratto da astropublishing.com
SCOPERTO PIANETA ABITABILE
- Una luce di speranza per le generazioni future: se dovessimo davvero mandare al macero il nostro povero pianeta, alcuni ricercatori spaziali hanno individuato il possibile sostituto della Terra. Si tratta di un pianeta abitabile dal punto di vista umano. Un solo problema, dista 36 anni luce. Per ora troppo lontano da raggiungere con le nostre tecnologie.
A 36 anni luce dalla Terra esiste un pianeta grande 3,5 volte il nostro che dista dalla sua stella alla giusta distanza (la 'fascia abitabile')per rendere possibile la presenza di acqua allo stato liquido e quindi la vita. Lo hanno annunciato gli astronomi dell'Eso che lo hanno individuato in mezzo ad altri 50 pianeti extrasolari.
Le immagini sono state acquisite dal rivelatore High Accuracy Radial Velocity Planet Searcher, meglio conosciuto come HARPS, lo spettrografo accoppiato alle potenti ottiche di 3,6 metri di diametro dell'Osservatorio La Silla in Cile.
Il pianeta è stato battezzato semplicemente "B" ed orbita attorno alla stella di tipo solare HD 85512, di settima magnitudine, distante 36 anni luce nella costellazione meridionale della Vela.
Le immagini sono state acquisite dal rivelatore High Accuracy Radial Velocity Planet Searcher, meglio conosciuto come HARPS, lo spettrografo accoppiato alle potenti ottiche di 3,6 metri di diametro dell'Osservatorio La Silla in Cile.
Il pianeta è stato battezzato semplicemente "B" ed orbita attorno alla stella di tipo solare HD 85512, di settima magnitudine, distante 36 anni luce nella costellazione meridionale della Vela.
L' ORO NASCE DA COLLISIONI
Un'ipotesi ampiamente condivisa ma mai dimostrata vuole che all'origine di tutti gli elementi chimici più pesanti del ferro ci siano le esplosione delle supernovae. Questa ipotesi, però, non è mai stata dimostrata in modo del tutto convincente e potrebbe in realtà rendere conto solo di una parte degli elementi pesanti presenti nel cosmo.
tratto da astropublishing.com
ZONE ABITABILI ESTESE DALL' IDROGENO
Quando si parla di zona abitabile di una stella ci si riferisce a un'ampia regione attorno alla stella stessa entro la quale le temperature sono tali da mantenere l'acqua allo stato liquido sulla superficie di un pianeta di tipo terrestre, quindi roccioso e con un'atmosfera ricca di elementi, come l'anidride carbonica e il vapore acqueo, adatti a generare un equilibrato e duraturo effetto serra. Poiché l'acqua liquida è alla base della vita come noi la conosciamo, la zona abitabile all'interno di un sistema planetario è il luogo migliore dove cercare la vita nel cosmo.
L'ampiezza della regione e la distanza dalla stella variano in funzione delle dimensioni dell'astro: nel caso di stelle di tipo solare, quindi di tipo G, la zona abitabile (detta anche zona di Goldilocks) è compresa fra 0,95 e 1,4 unità astronomiche (distanza Terra-Sole = 1 ua); per le nane rosse di tipo M, l'intervallo scende fra 0,08 e 0,12 ua, mentre per astri più grandi e caldi del Sole si va ben oltre l'unità astronomica.
C'è però anche un'altra variabile piuttosto importante, messa recentemente in evidenza da Raymond Pierrehumbert, della University of Chicago, in un lavoro appena pubblicato su The Astrophysical Journal Letters. E' la quantità di idrogeno presente nell'atmosfera. Se quest'ultima è composta prevalentemente di idrogeno, l'effetto serra che si genera è in grado di mantenere l'acqua liquida in superficie fino a distanze dalla stella centrale anche 15 volte superiori a quelle finora considerate.
Nel caso del nostro sistema solare, un pianeta con atmosfera ricchissima di idrogeno potrebbe avere oceani liquidi anche alla distanza di Saturno, dove solitamente si riscontrano temperature di quasi 200°C sotto zero.
L'ampiezza della regione e la distanza dalla stella variano in funzione delle dimensioni dell'astro: nel caso di stelle di tipo solare, quindi di tipo G, la zona abitabile (detta anche zona di Goldilocks) è compresa fra 0,95 e 1,4 unità astronomiche (distanza Terra-Sole = 1 ua); per le nane rosse di tipo M, l'intervallo scende fra 0,08 e 0,12 ua, mentre per astri più grandi e caldi del Sole si va ben oltre l'unità astronomica.
C'è però anche un'altra variabile piuttosto importante, messa recentemente in evidenza da Raymond Pierrehumbert, della University of Chicago, in un lavoro appena pubblicato su The Astrophysical Journal Letters. E' la quantità di idrogeno presente nell'atmosfera. Se quest'ultima è composta prevalentemente di idrogeno, l'effetto serra che si genera è in grado di mantenere l'acqua liquida in superficie fino a distanze dalla stella centrale anche 15 volte superiori a quelle finora considerate.
Nel caso del nostro sistema solare, un pianeta con atmosfera ricchissima di idrogeno potrebbe avere oceani liquidi anche alla distanza di Saturno, dove solitamente si riscontrano temperature di quasi 200°C sotto zero.
tratto da astropublishing.com
ROVER CURIOSITY
L' Autoritratto di Leonardo e il suo celebre Codice del Volo, primo opera scientifica dedicata allo studio della dinamica del volo, partiranno in forma di scansione, sabato.
Il Rover ''Curiosity'', un robot del peso di 800 kg e grande come un'automobile. Arrivo previsto nell'agosto prossimo.
SCOPERTA L' ORIGINE DEI RAGGI COSMICI
Dove nascono i raggi cosmici? Quella che fino ad ora è stata una domanda senza risposta, finalmente è stata chiarita, grazie al satellite AGILE dell'ASI (Agenzia Spaziale Italiana), impegnato nell'osservazione dell'universo e progettato per rilevare i lampi gamma di origine cosmica. I raggi cosmici proverrebbero dunque dalle esplosioni delle supernovae, che con la loro forza spingono a grande velocità la materia circostante.
Si tratta di particelle ad alta energia che bombardano costantemente il nostro pianeta dall'universo più profondo. Da anni gli studiosi sono impegnati nello studio della loro origine, che fino ad ora era rimasta un mistero, da Walter Baade e Fritz Zwicky negli anni '30 fino a Enrico Fermi e Vitaly Ginzburg negli anni '50.
Nonostante i numerosi studi riguardanti le supernovae, non si era mai riusciti ad avere alcuna evidenza diretta dell'accelerazione di protoni visto che l'emissione di alta energia che si trova nei pressi di tali ammassi di stelle ormai alla fine del loro ciclo di vita, poteva anche essere spiegata con la presenza di elettroni. Ma grazie ad Agile, è stato possibile rintracciare la presenza di protoni accelerati.
Osservando la supernova W44, il satellite italiano AGILE ha scoperto nella banda gamma un'emissione che va attribuita a protoni accelerati che vengono a contatto col gas circostante, che hanno una potenza ben più elevata degli acceleratori cosmici utilizzati sulla Terra. Questo il commento di Andrea Giuliani, esperto dell’INAF-IASF di Milano e primo autore dell'articolo: “Siamo molto eccitati. Nel caso di questa sorgente molto interessante abbiamo potuto analizzare in grande dettaglio il segnale nei raggi gamma insieme all'emissione radio. Confrontando queste due emissioni, abbiamo verificato minuziosamente l'ipotesi che siano i protoni accelerati a produrre l'emissione gamma osservata e non gli elettroni. C'è stata di grande aiuto la ‘firma del pione neutro’ che è evidente dai dati di AGILE”.
Il ciclo del gas galattico
Il gas, nelle galassie è ritenuto protagonista di un ciclo dominato dalla formazione stellare. Quando le stelle terminano la loro vita come supernovae, il gas che espellono, ricco in elementi pesanti, può raggiungere grandi distanze ed entrare nell'alone delle galassie spirali. L'alone è una regione molto estesa, approssimativamente sferica, che circonda completamente una galassia.
Poiché ci sono numerosi esempi di galassie particolarmente attive che mostrano lo spostamento di gas caldo dal disco verso l'alone, e poiché i modelli teorici dell'evoluzione galattica richiedono un costante rifornimento di gas oltre il disco, si è a lungo ritenuto che all'interno delle galassie stesse dovesse esistere un ciclo del gas.
Il gas caldo è espulso nell'alone e poi ricade raffreddandosi sotto l'influenza della gravità, fornendo nuovo combustibile per la formazione stellare. Un tale ciclo, in tutte le galassie dove si formano stelle, non solo in quelle molto attive, garantirebbe la continuazione della formazione stellare per periodi di tempo molto lunghi. Individuare le riserve di gas caldo all'interno degli aloni è comunque assai difficile, perché emettono pochissima luce e hanno una distribuzione probabilmente uniforme. Ora, in tre ricerche complementari, Nicolas Lehner (University of Notre Dame in South Bend, Ind.), Jason Tumlinson (Space Telescope Science Institute, Baltimore, Md.) e Todd Tripp (University of Massachusetts at Amherst) hanno usato lo spettrografo ultravioletto COS del telescopio spaziale Hubble per individuare quelle riserve.
Ci sono riusciti osservando le linee di assorbimento negli spettri di quasar distanti. Quando la loro luce passa attraverso l'alone della nostra galassia, o quello di altre galassie vicine, il gas caldo assorbe ben determinate frequenze, generando linee scure nello spettro. Queste possono essere usate per identificare il gas e misurare quanto ce n'è.
I risultati dicono che ce n'è una gran quantità, tanto quanto il gas contenuto nel disco galattico dove si formano le stelle. Sebbene i risultati dicano anche che questo gas caldo è spesso in allontanamento dalle galassie, ci si aspetta che una parte di esso raffreddi e ricada, andando ad alimentare la formazione stellare.
Il gas caldo è espulso nell'alone e poi ricade raffreddandosi sotto l'influenza della gravità, fornendo nuovo combustibile per la formazione stellare. Un tale ciclo, in tutte le galassie dove si formano stelle, non solo in quelle molto attive, garantirebbe la continuazione della formazione stellare per periodi di tempo molto lunghi. Individuare le riserve di gas caldo all'interno degli aloni è comunque assai difficile, perché emettono pochissima luce e hanno una distribuzione probabilmente uniforme. Ora, in tre ricerche complementari, Nicolas Lehner (University of Notre Dame in South Bend, Ind.), Jason Tumlinson (Space Telescope Science Institute, Baltimore, Md.) e Todd Tripp (University of Massachusetts at Amherst) hanno usato lo spettrografo ultravioletto COS del telescopio spaziale Hubble per individuare quelle riserve.
Ci sono riusciti osservando le linee di assorbimento negli spettri di quasar distanti. Quando la loro luce passa attraverso l'alone della nostra galassia, o quello di altre galassie vicine, il gas caldo assorbe ben determinate frequenze, generando linee scure nello spettro. Queste possono essere usate per identificare il gas e misurare quanto ce n'è.
I risultati dicono che ce n'è una gran quantità, tanto quanto il gas contenuto nel disco galattico dove si formano le stelle. Sebbene i risultati dicano anche che questo gas caldo è spesso in allontanamento dalle galassie, ci si aspetta che una parte di esso raffreddi e ricada, andando ad alimentare la formazione stellare.
TRATTO DA ASTROPUBLISHING.COM
VECCHIE STELLE RICCHE DI METALLI, PERCHE' ?
Grazie a una lunga ricerca condotta con telescopi dell'European Southern Observatory e con il Nordic Optical Telescope di La Palma, un gruppo di astronomi del Niels Bohr Institute della University of Copenhagen ha risolto un annoso problema legato all'esistenza nella nostra galassia (e anche in altre galassie) di stelle assai vecchie ma relativamente ricche di metalli molto pesanti, come il platino, l'oro e l'uranio. Questa situazione è in realtà un controsenso, perché gli elementi chimici presenti subito dopo la nascita dell'universo erano l'idrogeno e l'elio, con tracce di litio, e quando questi entro il primo miliardo di anni, sotto l'influenza della materia oscura, hanno iniziato a dar forma alle prime galassie, le stelle in esse contenute, e ancor oggi esistenti, non potevano che essere composte quasi esclusivamente di idrogeno ed elio. L'arricchimento di metalli (termine con cui gli astronomi indicano tutto ciò che pesa più degli elementi primordiali) può certamente essere venuto dalla nucleosintesi interna alle singole stelle, ma questo processo è efficiente fino alla creazione del nichel e si ferma con quella del ferro. Quindi, a maggior ragione, dovrebbe essere impossibile rilevare elementi più pesanti nello spettro di stelle vecchie quasi quanto le galassie e dunque quasi quanto l'universo. Poiché l'unico evento stellare in grado di creare i metalli più pesanti è la supernova, i ricercatori dell'NBI, in particolare Terese Hansen, hanno cercato una relazione fra queste ultime e le vecchie stelle ricche di metalli, valutando essenzialmente due diversi meccanismi di arricchimento. Il primo scenario vede una vecchia stella essere investita dall'esplosione di una compagna, che così la "contamina" con i propri metalli pesanti. Il secondo scenario vede invece un rapido arricchimento in metalli delle nubi protostellari dell'alone galattico da parte di materiale espulso sotto forma di getti da supernovae esplose nei primissimi milioni di anni di vita della Galassia; in questo secondo caso le vecchie stelle sarebbero già nate ricche di metalli. Dal momento che fra le 17 stelle considerate nella ricerca, le doppie ricorrono con una frequenza ritenuta normale, il 20%, e quindi non c'è motivo di ritenere che manchino delle compagne esplose come supernovae, lo scenario più realistico sembra essere il secondo. preso da: ita.astropublishing.com LA STELLA VAMPIRO Le immagini dirette di un sistema doppio mostrano che la stella più piccola e calda si alimenta a spese della compagna "risucchiando" la materia che questa espelle sotto forma di vento stellare e che quindi il trasferimento di massa tra i due astri sta avvenendo in modo diverso rispetto ai modelli elaborati fino a oggi
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